Dopo le crisi economiche dovute alla pandemia, il 2022 si prospetta come un anno importante per rilanciare il nostro Bel Paese. Come? In primis con provvedimenti per fare in modo che gli Italiani migrati possano rientrare in Italia dall’estero. Basti pensare che negli ultimi dieci anni, il nostro Paese ha perso circa 580 mila soggetti, che hanno spostato la residenza altrove. Ecco perché nascono un serie di azioni particolarmente mirate ad attrarre quei professionisti o studenti con esperienze importanti maturate fuori dall’Italia, durante periodi prolungati di permanenza. Gli incentivi proposti sono principalmente di natura fiscale e contemplano l’abbattimento della base imponibile, in misura variabile, in base ai vari provvedimenti, per fare in modo di rimpatriare i profili professionali italiani sparsi nel mondo che ad oggi corrispondono al 9,5% degli Italiani esistenti. In questo articolo diamo qualche consiglio pratico per chi vuole tornare in Italia.
Punto primo: bisogna avere la residenza fiscale in Italia per richiedere l’accesso alle agevolazioni
Secondo il Testo unico delle imposte sui redditi, si annoverano come residenti in Italia tutti quei cittadini che per la gran parte del periodo d’imposta (circa 200 giorni annuali) sono iscritti alle anagrafi della popolazione residente o hanno il loro domicilio (sede di affari) o la loro residenza (luogo di dimora abituale) in Italia. La presenza di una di queste due caratteristiche basta a qualificare uno di questi soggetti come residente in Italia ai fini fiscali.
Punto due: le agevolazioni fiscali
Per fare in modo di sostenere nel miglior modo possibile la chance di fare rientrare in Italia dall’estero gli Italiani, sono stati creati due importanti regimi di incentivazione fiscale, che tra loro sono incompatibili: il rientro dei cervelli e i lavoratori impatriati. Chi possiede i requisiti sopra elencati può scegliere a quale di questi due aderire.
Punto tre: il rientro dei cervelli
Il rientro dei cervelli è fondamentalmente un regime fiscale volto ad agevolare e alleggerire la tassazione di tutti quei soggetti qualificati e giovani che, per svariati motivi (di studio, di contratti di lavoro, personali, esperienziali ecc), si sono trasferiti all’estero per periodi di tempo lunghi, ma che ora si vorrebbero fare rientrare in Italia. Sebbene sia una strategia di sgravio fiscale, essa è volta soprattutto ad incrementare la competitività internazionale del nostro Paese; cosa significa? In un momento così complesso a 360°, l’Italia vorrebbe poter godere dei propri cervelli sul suo stesso suolo così da poterne incentivare l’ulteriore formazione nonché esportarne cultura, ricerca e scienza. Ma come funziona precisamente questa strategia e quali caratteristiche richiede?
In realtà non è così articolata poiché si basa principalmente su due condizioni: la prima è che il soggetto non abbia avuto la residenza in Italia nei due periodi contributivi precedenti al rientro e che garantisca la sua residenza sul territorio per almeno un biennio, e la seconda è la sua impresa/attività si svolga entro i confini territoriali. Per chi possiede i requisiti richiesti, sono previsti redditi di lavoro dipendente e redditi di lavoro autonomo con una base imponibile abbattuta del 70% nel periodo d’imposta in cui si ritorna ad essere fiscalmente residenti in Italia e nei successivi 4. Ciò significa avvalersi di tali benefici per 5 anni che possono essere prorogati per altri cinque periodi d’imposta ai lavoratori con un figlio a carico i proprietari di un immobile residenziale in Italia dopo il il trasferimento.
Punto quattro: lavoratori impatriati
È una strategia fiscale molto simile a quella del rientro dei cervelli, pragmaticamente fondata sulla riduzione della base imponibile del reddito. I lavoratori impatriati sono coloro che trasferiscono la residenza e l’attività lavorativa in Italia, dopo essere stati all’estero per almeno 2 anni. Ad essi, i redditi di lavoro non sono fiscalmente imponibili per il 70%. Per usufruire di questa opportunità è necessario avere una laurea o aver svolto continuativamente un’attività di lavoro o studio fuori dall’Italia negli ultimi due anni. Anche in questo caso, la strategia è prorogabile.
Punto cinque: ok alle strategie economico-finanziarie ma grande peso anche al capitale umano
Rientrare in Italia dopo una buona esperienza all’estero non è soltanto un fatto di facilitazioni economiche ma anche un fondamentale contributo di capitale umano. Lo sviluppo del nostro Paese dipende moltissimo dalla competenza e dalla professionalità dei ricercatori e dei lavoratori poiché è solo grazie al trasferimento di know how che le più svariate aree tecniche, scientifiche e umanistiche possono evolversi e generare risultati importanti da esportare e condividere.
Proprio per non perdere più il prezioso contributo di menti accademiche e di lavoratori con bagagli esperienziali importanti, questo 2022 ha visto riforme strutturali davvero significative nelle strategie economico-finanziarie di rientro dei cervelli e di lavoratori impatriati: dopo anni di misera flessibilità a riguardo, si è finalmente giunti a comprendere che il brain drain è un fenomeno svilente per la nostra nazione poiché questa fuga spesso non ha ritorno, e pensare di perdere per sempre il contributo di professionisti è davvero pericoloso per uno Stato che vuole affacciarsi al futuro.
Ecco allora che con i nuovi requisiti e le relative legiferazioni strategiche, si può finalmente accompagnare una libera circolazione dei cervelli e di incentivazione dei percorsi di carriera per i giovani di talento. Avendo questi ultimi degli sgravi fiscali importanti (dal 70% per il primo quinquennio post rientro al 50% nella proroga dei cinque anni successivi), possono così agire in maniera più tattica e di ampio respiro. Conoscenza, esperienza, performance e qualità divengono vere protagoniste di un rientro dei cervelli significativo, che possa contribuire ad una crescita multilevel nazionale.